Il crollo di una delle due superpotenze mondiali e la fine della Guerra Fredda. Il 26 dicembre 1991 crollava l'Unione Sovietica dopo 74 anni dalla sua istituzione, segnando una rivoluzione nell'ordine mondiale.
Il definitivo declino dell'Unione Sovietica, dopo un decennio di stagnazione, inizia con la morte di Leonid Breznev, stroncato il 10 novembre 1982 a 75 anni da un attacco cardiaco dopo 18 anni al governo come Segretario Generale del Partito Comunista. Yury Andropov, primo ex Presidente del KGB a diventare Segretario Generale del PCUS, muore nel 1984 a 69 anni. Gli succede Constantin Chernenko, già afflitto da gravi problemi di salute, che muore il 10 marzo 1985 a 73 anni.
L'11 marzo 1985 viene eletto Segretario Generale del PCUS Michail Gorbacev, 53 anni, il primo esponente della nuova generazione di politici sovietici, scelto per evitare un altro leader di breve durata. Le sue due riforme più importanti cambiarono la storia dell'Unione Sovietica: con la perestrojka distese le relazioni diplomatiche con gli Stati occidentali e con il glasnost fece cadere decenni di censura interna.
Su queste basi, Gorbacev ritenne che i tempi della Guerra Fredda fossero finiti. Nel 1988 l'Unione Sovietica si ritirò dall'Afghanistan dopo un decennio e l'anno seguente si rifiutò di interferire nelle vicende interne degli Stati membri del Patto di Varsavia, una rivoluzione rispetto alla Dottrina Breznev.
E così, nel 1989 la strada è libera per una serie di rivoluzioni. L'Ungheria si dichiara repubblica e indice elezioni multipartitiche aprendo la Cortina di Ferro, in Germania crolla il Muro di Berlino, in Cecoslovacchia la Rivoluzione di Velluto portò all'elezione di Vàclav Havel e in Romania il giorno di Natale vengono fucilati il dittatore comunista Nicolae Ceausescu e la moglie Elena Petrescu.
Nel 1990 Boris Yeltsin venne eletto Presidente del Congresso dei Deputati del PCUS e la Duma approvò una legge che permetteva l'indipendenza di una nazione con il voto favorevole di due terzi dei cittadini in un referendum. Gorbacev preparò un Nuovo Trattato dell'Unione, che avrebbe trasformato l'URSS in una repubblica federale con molta più autonomia ai singoli Stati. Nell'agosto del 1990, tuttavia, i militari che componevano il Comitato di Stato sullo Stato d'Emergenza (GKCHP) posero agli arresti domiciliari Gorbacev, tentando un colpo di Stato. L'ordine venne ristabilito in appena due giorni dai controrivoluzionari guidati da Boris Yeltsin, la cui popolarità superò quella di Gorbacev.
La Lituania divenne la prima repubblica a dichiarare la propria indipendenza nel 1990, seguita da Estonia e Lettonia. Dopo queste due secessioni, Michail Gorbacev si dimette dalla guida del partito, rimanendo Presidente dell'URSS, le cui attività vengono sospese a tempo indeterminato, mentre Boris Yeltsin viene eletto Presidente della Russia.
Entro il 1991 tutte le repubbliche sovietiche, eccetto il Kazakistan, dichiararono la propria indipendenza. Il colpo finale all'Unione Sovietica arrivò il 1° dicembre, con la schiacciante vittoria dell'Ucraina al referendum sull'indipendenza.
L'8 dicembre 1991 i Presidenti di Russia, Bielorussia e Ucraina firmano gli Accordi di Belavezha, in cui dichiarano dissolta l'Unione Sovietica, sostituendola con la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), un'organizzazione per la cooperazione tra Stati post sovietici. Il 21 dicembre i rappresentanti di tutte le repubbliche ex sovietiche, eccetto la Georgia, firmano gli Accordi di Alma-Ata, che rendono esecutiva la fine dell'Unione Sovietica. Il 25 dicembre 1991 Michail Gorbacev si dimette ufficialmente da Presidente dell'Unione Sovietica, dichiarando estinto l'incarico, e lascia tutti i poteri rimanenti a Boris Yeltsin, Presidente della Russia. A mezzanotte il tricolore sovietico viene ammainato dal Cremlino e sostituito ufficialmente con il tricolore russo. Il 26 dicembre 1991 il Supremo Soviet vota per la propria dissoluzione e di quella dell'Unione Sovietica. L'atto viene considerato come la fine della Guerra Fredda.
Le altre istituzioni sovietiche cessano di esistere con la fine del 1991, mentre l'esercito sovietico inizialmente rimane sotto un comando congiunto della CSI prima di venire suddiviso tra le varie repubbliche. La Russia viene riconosciuta come legale successore dell'Unione Sovietica ereditando il seggio al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e, con il Protocollo di Lisbona del 1992, accetta di ricevere dalle altre repubbliche tutte le armi nucleari nel loro territorio. Solo l'Ucraina non ha mai accettato il ruolo della sola Russia come Stato successore dell'Unione Sovietica, essendo stato un Paese fondatore della stessa URSS.
Attualmente, i 15 Stati che componevano l'Unione Sovietica hanno rapporti di diverso tipo. Nel 1991 Russia, Bielorussia e Ucraina hanno fondato la CSI, estendendola nel 1993 a tutte le ex repubbliche sovietiche escluse le tre baltiche Estonia, Lettonia e Lituania. Nel tempo la composizione si è ridotta: il Turkmenistan partecipa solo come Stato associato, la Georgia si è ritirata nel 2008 e l'Ucraina dal 2018 diserta le riunioni dell'organismo. Nel 1994 gli Stati della CSI decidono di creare un'area di libero scambio, ma i trattati non vengono mai firmati. Un trattato simile viene firmato solo nel 2011 tra Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Moldavia e Ucraina, a cui si è unito nel 2013 l'Uzbekistan.
Parallelamente, nel 1996 viene creata la Comunità Economica Eurasiatica da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan. L'Ucraina, per motivi politici, è solo osservatore così come la Moldova, che non ha frontiere comuni con gli altri Stati. Nel 2015 è stata sostituita dall'Unione Economica Eurasiatica, formata da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan, più Moldova e Tajikistan come osservatori.
Sette membri della CSI (Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan e Armenia) hanno poi formato l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). L'Uzbekistan si è aggiunto e sospeso due volte, l'ultima nel 2012. Estonia, Lettonia e Lituania hanno invece scelto di far parte della NATO, così come l'Ucraina fino al 2017, quando si è dichiarata ufficialmente neutrale dopo l'invasione russa della Crimea.
Nel 2001 Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova hanno siglato il trattato GUAM, l'unico a escludere la Russia, che punta a limitare la sovranità eccessiva di Mosca nell'area. Nel 1996, infine, Russia e Bielorussia hanno firmato un trattato per un'integrazione crescente tra i due Stati.
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