Il libro Giudizio Universale del giornalista Gianluigi Nuzzi apre nuovi interrogativi sulle finanze vaticane. A quanto emerge dall'inchiesta, che si basa su oltre 3mila documenti riservati della Santa Sede, il Vaticano avrebbe un serio problema di deficit e non sarebbe stato perfettamente trasparente nella gestione delle donazioni dei fedeli.
Nel libro si parla chiaramente del rischio di un default. Papa Francesco, in assenza di un Prefetto della Segreteria per l'Economia dopo l'arresto del cardinale George Pell, avrebbe chiesto al cardinale tedesco Reinhard Marx, 66 anni, arcivescovo di Monaco - Frisinga e Coordinatore del Consiglio per l'Economia, di elaborare un piano di spending review. Il tutto nel bel mezzo del Sinodo per l'Amazzonia, che mette altra pressione sugli sforzi riformatori di Francesco e sulla sua volontà di ordinare preti uomini sposati nelle terre di missione.
Nuzzi sostiene che il bilancio vaticano 2018 sia in rosso di 44 milioni e che, di questo passo, la Santa Sede potrebbe dichiarare bancarotta entro il 2023. Uno scenario catastrofico, smentito dal Presidente dell'Apsa Nunzio Galantino, 70 anni: i conti Apsa sarebbero in attivo di una ventina di milioni, non ci sarebbe nessuna contabilità parallela a vantaggio di cardinali e banchieri e il bilancio complessivo del Vaticano sarebbe in rosso soltanto in via straordinaria, a causa di sostanziosi aiuti economici per salvare un ospedale cattolico dal fallimento.
Ma il calo delle donazioni dell'Obolo di San Pietro, la cattiva gestione dei fondi e la resistenza interna ai tentativi di riforme e trasparenza voluti da Papa Francesco starebbero mettendo a repentaglio l'esistenza del Vaticano. Un problema grave da diversi anni: già nel pontificato di Benedetto XVI ci si rese conto che la Curia Romana, il suo numero enorme di personale e tutto il servizio diplomatico vaticano sarebbero stati difficilmente gestibili con le attuali fonti di entrata.
La principale responsabilità della mala gestione dei beni della Chiesa, secondo Nuzzi, sarebbe dell'Apsa, la principale banca del Vaticano, che ha il compito di gestire le risorse della Curia Romana e garantirne il funzionamento. I 2926 immobili gestiti dall'Apsa sarebbero però venduti e affittati a prezzi enormemente inferiori a quelli di mercato e nel 2018 questa politica avrebbe generato perdite per 22,8 milioni, metà dell'intero deficit vaticano.
Altri documenti diffusi dall'Espresso, poi, dimostrerebbero che l'Obolo di San Pietro è fonte di conflitto tra Apsa e Segreteria di Stato, che disporrebbe di numerosi fondi extrabilancio (725 milioni di euro) da gestire senza alcun vincolo. Per questo motivo la Gendarmeria vaticana ha effettuato perquisizioni nella Segreteria di Stato e nella sede dell'Aif, l'autorità anticorruzione. E avrebbe ordinato indagini su 5 personalità del Vaticano, tra cui il direttore dell'Aif. Quell'ordine, però, è stato passato ai media e ha costretto alle dimissioni dopo 13 anni il Comandante della Gendarmeria Domenico Giani.
Ha destato scalpore, poi, l'acquisto da parte di un fondo controllato dal Vaticano di un palazzo nel centro di Londra per 200 milioni di euro. Quell'acquisto sarebbe stato ordinato nel 2012 da Giovanni Angelo Becciu, 71 anni, oggi cardinale e Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, allora arcivescovo e Sostituto per gli Affari Generali. E avrebbe aperto un conflitto latente con il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, 64 anni, che ha giudicato «opaca» l'operazione, suscitando la piccata risposta di Becciu: «È normale che l'Obolo venga usato anche per investimenti immobiliari fin dai tempi di Pio XII. Quando abbiamo fatto quell'operazione, registrata a norma di legge, non c'era niente di opaco». E pare che la Segreteria di Stato fosse sul punto di approvare un altro investimento da 200 milioni di euro in una compagnia petrolifera in Angola. Anche questo accordo, come quello immobiliare, sarebbe stato mediato dal finanziere italiano Raffaele Mincione.
La linea del Papa, secondo Nuzzi, rimane dura. Ma non irremovibile. Francesco sarebbe riluttante a prendere provvedimenti drastici: il Pontefice, ad esempio, avrebbe ordinato di stoppare la vendita di un terreno agricolo di proprietà vaticana alle porte di Roma per paura che il nuovo proprietario potesse renderlo edificabile. E nessun taglio sarebbe stato fatto sul personale: il piano del cardinale Marx prevede il blocco di nuove assunzioni, ma nel 2018 la Santa Sede aveva speso 140 milioni di euro in personale, due in più rispetto al 2017.
Nunzio Galantino, Presidente dell'Apsa, ha anche spiegato perché il 60% dei 2400 appartamenti vaticani siano affittati a canone ridotto: sarebbero destinati a impiegati, quindi gestiti in una forma di social housing. Ma tante proprietà sono di competenza della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che le usa come meglio crede senza controlli.
Insomma, è difficile che il Vaticano fallisca presto. Ma senza una decisa inversione di rotta, la riorganizzazione della Segreteria per l'Economia e dell'intera Curia Romana, i soldi potrebbero diventare un serio problema Oltretevere.
Nel libro si parla chiaramente del rischio di un default. Papa Francesco, in assenza di un Prefetto della Segreteria per l'Economia dopo l'arresto del cardinale George Pell, avrebbe chiesto al cardinale tedesco Reinhard Marx, 66 anni, arcivescovo di Monaco - Frisinga e Coordinatore del Consiglio per l'Economia, di elaborare un piano di spending review. Il tutto nel bel mezzo del Sinodo per l'Amazzonia, che mette altra pressione sugli sforzi riformatori di Francesco e sulla sua volontà di ordinare preti uomini sposati nelle terre di missione.
Nuzzi sostiene che il bilancio vaticano 2018 sia in rosso di 44 milioni e che, di questo passo, la Santa Sede potrebbe dichiarare bancarotta entro il 2023. Uno scenario catastrofico, smentito dal Presidente dell'Apsa Nunzio Galantino, 70 anni: i conti Apsa sarebbero in attivo di una ventina di milioni, non ci sarebbe nessuna contabilità parallela a vantaggio di cardinali e banchieri e il bilancio complessivo del Vaticano sarebbe in rosso soltanto in via straordinaria, a causa di sostanziosi aiuti economici per salvare un ospedale cattolico dal fallimento.
Ma il calo delle donazioni dell'Obolo di San Pietro, la cattiva gestione dei fondi e la resistenza interna ai tentativi di riforme e trasparenza voluti da Papa Francesco starebbero mettendo a repentaglio l'esistenza del Vaticano. Un problema grave da diversi anni: già nel pontificato di Benedetto XVI ci si rese conto che la Curia Romana, il suo numero enorme di personale e tutto il servizio diplomatico vaticano sarebbero stati difficilmente gestibili con le attuali fonti di entrata.
La principale responsabilità della mala gestione dei beni della Chiesa, secondo Nuzzi, sarebbe dell'Apsa, la principale banca del Vaticano, che ha il compito di gestire le risorse della Curia Romana e garantirne il funzionamento. I 2926 immobili gestiti dall'Apsa sarebbero però venduti e affittati a prezzi enormemente inferiori a quelli di mercato e nel 2018 questa politica avrebbe generato perdite per 22,8 milioni, metà dell'intero deficit vaticano.
Altri documenti diffusi dall'Espresso, poi, dimostrerebbero che l'Obolo di San Pietro è fonte di conflitto tra Apsa e Segreteria di Stato, che disporrebbe di numerosi fondi extrabilancio (725 milioni di euro) da gestire senza alcun vincolo. Per questo motivo la Gendarmeria vaticana ha effettuato perquisizioni nella Segreteria di Stato e nella sede dell'Aif, l'autorità anticorruzione. E avrebbe ordinato indagini su 5 personalità del Vaticano, tra cui il direttore dell'Aif. Quell'ordine, però, è stato passato ai media e ha costretto alle dimissioni dopo 13 anni il Comandante della Gendarmeria Domenico Giani.
Ha destato scalpore, poi, l'acquisto da parte di un fondo controllato dal Vaticano di un palazzo nel centro di Londra per 200 milioni di euro. Quell'acquisto sarebbe stato ordinato nel 2012 da Giovanni Angelo Becciu, 71 anni, oggi cardinale e Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, allora arcivescovo e Sostituto per gli Affari Generali. E avrebbe aperto un conflitto latente con il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, 64 anni, che ha giudicato «opaca» l'operazione, suscitando la piccata risposta di Becciu: «È normale che l'Obolo venga usato anche per investimenti immobiliari fin dai tempi di Pio XII. Quando abbiamo fatto quell'operazione, registrata a norma di legge, non c'era niente di opaco». E pare che la Segreteria di Stato fosse sul punto di approvare un altro investimento da 200 milioni di euro in una compagnia petrolifera in Angola. Anche questo accordo, come quello immobiliare, sarebbe stato mediato dal finanziere italiano Raffaele Mincione.
La linea del Papa, secondo Nuzzi, rimane dura. Ma non irremovibile. Francesco sarebbe riluttante a prendere provvedimenti drastici: il Pontefice, ad esempio, avrebbe ordinato di stoppare la vendita di un terreno agricolo di proprietà vaticana alle porte di Roma per paura che il nuovo proprietario potesse renderlo edificabile. E nessun taglio sarebbe stato fatto sul personale: il piano del cardinale Marx prevede il blocco di nuove assunzioni, ma nel 2018 la Santa Sede aveva speso 140 milioni di euro in personale, due in più rispetto al 2017.
Nunzio Galantino, Presidente dell'Apsa, ha anche spiegato perché il 60% dei 2400 appartamenti vaticani siano affittati a canone ridotto: sarebbero destinati a impiegati, quindi gestiti in una forma di social housing. Ma tante proprietà sono di competenza della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che le usa come meglio crede senza controlli.
Insomma, è difficile che il Vaticano fallisca presto. Ma senza una decisa inversione di rotta, la riorganizzazione della Segreteria per l'Economia e dell'intera Curia Romana, i soldi potrebbero diventare un serio problema Oltretevere.
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