Il 24 ottobre 1929, giorno del giovedì nero, con la crisi del New York Stock Exchange, la principale Borsa degli Stati Uniti, si apriva la Grande Depressione. I danni economici prodotti da quei giorni, negli Usa e in tutto il mondo, non vennero superati fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Come nell'altra Grande Depressione dell'economia americana, quella negli anni 1873-1895, la causa principale a livello internazionale fu il massiccio ricorso a dazi doganali. Come conseguenza del protezionismo, gli Stati che producevano un determinato bene in surplus non riuscivano a esportarlo perché agli altri Paesi costava troppo comprarlo.
La saturazione del mercato interno faceva sì che non diventasse più conveniente produrre quel bene perché valeva pochissimo. Nel 1873 questo meccanismo era avvenuto con il grano. La bassa densità di popolazione e l'ampiezza di aree coltivate, unita a un progredito sistema industriale, consentirono agli Stati Uniti di esportare enormi quantità di grano in Europa, che lo comprava a prezzi più bassi rispetto a quello locale. Gli stati europei imposero quindi dazi sul grano americano, causando eccedenza di grano negli Stati Uniti, con conseguente svalutazione e disoccupazione, e carenza di grano in Europa e mancato afflusso di beni di consumo, con cui era pagato il grano, dall'Europa all'America.
La crisi di fine Ottocento, generata da questo sistema, trovò sbocco nel colonialismo, in cui si aprirono nuovi mercati, anche se le colonie commerciavano quasi esclusivamente con la propria madrepatria. Si arrivò però a un punto in cui anche i mercati coloniali divennero saturi. La Grande Guerra, senza la quale la Grande Depressione sarebbe arrivata prima, diede sfogo a questa sovrapproduzione, che però si ripresentò pochi anni dopo. E la soluzione fu un'altra guerra, più devastante della prima.
Un altro elemento di debolezza, ereditato dal primo conflitto mondiale, erano i debiti di guerra. Inghilterra, Francia e Italia dovevano pagare ingenti debiti agli Stati Uniti e iniziarono una politica di esportazioni molto aggressiva per rifinanziarsi. Gli stati europei ripensarono alla guerra franco-prussiana del 1870-71, in cui le riparazioni imposte alla Francia consentirono alla Germania non solo di coprire i costi della guerra ma anche di porre le basi per una crescita economica duratura. Tutti i costi della Grande Guerra vennero così addebitati alla Germania, che però non avrebbe potuto sostenerli senza dichiarare bancarotta. Dopo la decisione da parte degli Stati Uniti di sostenere la ripresa dell'economia tedesca con forti investimenti, si creò una situazione paradossale: gli Usa finanziavano la Germania, che usava gran parte di questi fondi per ripagare gli altri stati europei, che a loro volta usavano gli stessi soldi per ripagare gli Stati Uniti. Questo sistema sarebbe stato in piedi soltanto finché Washington avesse deciso di continuare a investire nella Germania.
L'unica superpotenza mondiale, ossia gli Stati Uniti, non si prese poi la responsabilità di fare da garante dell'economia mondiale, correggendone gli errori. Questo ruolo ricadde sull'Inghilterra, nonostante il suo apparato industriale fosse meno sviluppato, e gli Usa preferirono l'isolazionismo.
Dopo la Grande Guerra gli Stati Uniti avevano conosciuto un periodo di grande prosperità economica, il cosiddetto Boom del 1924. L'industria automobilistica, esattamente come succederà nel 2008, trainò tutti gli altri settori sulla strada della crescita. L'alta produttività manteneva alti i salari e i prezzi, favorendo investimenti che aumentavano la produttività. Ma a questo circolo virtuoso non corrispondeva una uguale crescita del potere d'acquisto e i tassi di interesse finirono per diventare troppo bassi.
Oltretutto, le autorità non imposero limiti alle attività speculative delle banche, che iniziarono ad acquistare titoli non tanto per aumentarne il valore e ottenere dividendi ma solo per aumentare il proprio capitale. Questi titoli scambiati iniziarono ad acquisire un valore lontanissimo a quello dell'economia reale. Il valore delle azioni industriali crebbe fuori misura e quando precipitò lo fece rovinosamente. È esattamente quello che accadde il 24 ottobre 1929.
Il crac, a cui seguirà quello del martedì nero il 29 ottobre, colpì soprattutto il ceto medio, che aveva accumulato risparmi dagli anni della guerra e investiva in beni di consumo durevoli, il settore economico più forte. Anche il settore bancario andò presto in crisi: di fronte all'ondata di vendite, tutti andarono agli sportelli per cercare di ritirare i propri risparmi, scatenando una sequela di fallimenti. La domanda era enormemente inferiore alla produzione, che scese del 50% nel giro di tre anni. L'economia americana era quasi totalmente bloccata.
A trarre vantaggio dalla Grande Depressione fu il mondo della criminalità, che fiorì dando inizio allo stereotipo del gangster americano degli anni '30. Tra il 1919 e il 1933 gli Stati Uniti avevano imposto il divieto di fabbricazione e importazione di alcool (il Proibizionismo) e la mafia americana ne approfittò. Gli anni '30 furono il periodo di Al Capone (arrestato nel 1930), Karpis-Barker, Bonnie e Clyde, John Dillinger e John Hamilton. L'Fbi, capitanata dallo storico direttore Edgar J. Hoover, impiegò molti anni a dare la caccia e uccidere tutti i criminali che avevano preso piede nel Paese.
Essendo gli Stati Uniti la più grande economia al mondo, strettamente connessa a quella degli alleati europei per via dei prestiti concessi ai Paesi dopo la Grande Guerra, il crac non tardò a uscire dai confini degli Usa. Sei milioni di persone rimasero senza lavoro in Germania e tre in Inghilterra. Non fu toccata dalla crisi soltanto l'Unione Sovietica, che aveva ancora un'economia prevalentemente agricola e che stava apprestandosi a varare i piani quinquennali di sviluppo voluti da Josip Stalin. Fuori dall'Europa, anche il Giappone non risentì del crollo di Wall Street.
Non si riuscirono a trovare soluzioni comuni sul piano diplomatico. Anzi, tutti gli Stati innalzarono ulteriori barriere protezionistiche e innalzarono la spesa pubblica come sostegno all'economia nazionale. Nel 1933 il Presidente Franklin Delano Roosevelt annunciò il New Deal, il nuovo corso dell'economia americana, che aumentò la spesa pubblica per far ripartire i consumi, secondo le teorie di John Maynard Keynes.
Il Paese che rimase più devastato dalla crisi del 1929 fu la Germania di Weimar, già fragilissima a causa dell'enormità delle riparazioni di guerra imposte dal Trattato di Versailles. Proprio l'enorme massa di poveri e disoccupati fu la base del consenso del Partito nazista di Adolf Hitler, che vinse le elezioni nel 1933.
Come nell'altra Grande Depressione dell'economia americana, quella negli anni 1873-1895, la causa principale a livello internazionale fu il massiccio ricorso a dazi doganali. Come conseguenza del protezionismo, gli Stati che producevano un determinato bene in surplus non riuscivano a esportarlo perché agli altri Paesi costava troppo comprarlo.
La saturazione del mercato interno faceva sì che non diventasse più conveniente produrre quel bene perché valeva pochissimo. Nel 1873 questo meccanismo era avvenuto con il grano. La bassa densità di popolazione e l'ampiezza di aree coltivate, unita a un progredito sistema industriale, consentirono agli Stati Uniti di esportare enormi quantità di grano in Europa, che lo comprava a prezzi più bassi rispetto a quello locale. Gli stati europei imposero quindi dazi sul grano americano, causando eccedenza di grano negli Stati Uniti, con conseguente svalutazione e disoccupazione, e carenza di grano in Europa e mancato afflusso di beni di consumo, con cui era pagato il grano, dall'Europa all'America.
La crisi di fine Ottocento, generata da questo sistema, trovò sbocco nel colonialismo, in cui si aprirono nuovi mercati, anche se le colonie commerciavano quasi esclusivamente con la propria madrepatria. Si arrivò però a un punto in cui anche i mercati coloniali divennero saturi. La Grande Guerra, senza la quale la Grande Depressione sarebbe arrivata prima, diede sfogo a questa sovrapproduzione, che però si ripresentò pochi anni dopo. E la soluzione fu un'altra guerra, più devastante della prima.
Un altro elemento di debolezza, ereditato dal primo conflitto mondiale, erano i debiti di guerra. Inghilterra, Francia e Italia dovevano pagare ingenti debiti agli Stati Uniti e iniziarono una politica di esportazioni molto aggressiva per rifinanziarsi. Gli stati europei ripensarono alla guerra franco-prussiana del 1870-71, in cui le riparazioni imposte alla Francia consentirono alla Germania non solo di coprire i costi della guerra ma anche di porre le basi per una crescita economica duratura. Tutti i costi della Grande Guerra vennero così addebitati alla Germania, che però non avrebbe potuto sostenerli senza dichiarare bancarotta. Dopo la decisione da parte degli Stati Uniti di sostenere la ripresa dell'economia tedesca con forti investimenti, si creò una situazione paradossale: gli Usa finanziavano la Germania, che usava gran parte di questi fondi per ripagare gli altri stati europei, che a loro volta usavano gli stessi soldi per ripagare gli Stati Uniti. Questo sistema sarebbe stato in piedi soltanto finché Washington avesse deciso di continuare a investire nella Germania.
L'unica superpotenza mondiale, ossia gli Stati Uniti, non si prese poi la responsabilità di fare da garante dell'economia mondiale, correggendone gli errori. Questo ruolo ricadde sull'Inghilterra, nonostante il suo apparato industriale fosse meno sviluppato, e gli Usa preferirono l'isolazionismo.
Dopo la Grande Guerra gli Stati Uniti avevano conosciuto un periodo di grande prosperità economica, il cosiddetto Boom del 1924. L'industria automobilistica, esattamente come succederà nel 2008, trainò tutti gli altri settori sulla strada della crescita. L'alta produttività manteneva alti i salari e i prezzi, favorendo investimenti che aumentavano la produttività. Ma a questo circolo virtuoso non corrispondeva una uguale crescita del potere d'acquisto e i tassi di interesse finirono per diventare troppo bassi.
Oltretutto, le autorità non imposero limiti alle attività speculative delle banche, che iniziarono ad acquistare titoli non tanto per aumentarne il valore e ottenere dividendi ma solo per aumentare il proprio capitale. Questi titoli scambiati iniziarono ad acquisire un valore lontanissimo a quello dell'economia reale. Il valore delle azioni industriali crebbe fuori misura e quando precipitò lo fece rovinosamente. È esattamente quello che accadde il 24 ottobre 1929.
Il crac, a cui seguirà quello del martedì nero il 29 ottobre, colpì soprattutto il ceto medio, che aveva accumulato risparmi dagli anni della guerra e investiva in beni di consumo durevoli, il settore economico più forte. Anche il settore bancario andò presto in crisi: di fronte all'ondata di vendite, tutti andarono agli sportelli per cercare di ritirare i propri risparmi, scatenando una sequela di fallimenti. La domanda era enormemente inferiore alla produzione, che scese del 50% nel giro di tre anni. L'economia americana era quasi totalmente bloccata.
A trarre vantaggio dalla Grande Depressione fu il mondo della criminalità, che fiorì dando inizio allo stereotipo del gangster americano degli anni '30. Tra il 1919 e il 1933 gli Stati Uniti avevano imposto il divieto di fabbricazione e importazione di alcool (il Proibizionismo) e la mafia americana ne approfittò. Gli anni '30 furono il periodo di Al Capone (arrestato nel 1930), Karpis-Barker, Bonnie e Clyde, John Dillinger e John Hamilton. L'Fbi, capitanata dallo storico direttore Edgar J. Hoover, impiegò molti anni a dare la caccia e uccidere tutti i criminali che avevano preso piede nel Paese.
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Adolf Hitler passa in rassegna i militanti del Partito Nazista il 2 settembre 1933. Il 30 gennaio era stato nominato Cancelliere e a marzo aveva vinto le elezioni con il 44% dei voti. |
Essendo gli Stati Uniti la più grande economia al mondo, strettamente connessa a quella degli alleati europei per via dei prestiti concessi ai Paesi dopo la Grande Guerra, il crac non tardò a uscire dai confini degli Usa. Sei milioni di persone rimasero senza lavoro in Germania e tre in Inghilterra. Non fu toccata dalla crisi soltanto l'Unione Sovietica, che aveva ancora un'economia prevalentemente agricola e che stava apprestandosi a varare i piani quinquennali di sviluppo voluti da Josip Stalin. Fuori dall'Europa, anche il Giappone non risentì del crollo di Wall Street.
Non si riuscirono a trovare soluzioni comuni sul piano diplomatico. Anzi, tutti gli Stati innalzarono ulteriori barriere protezionistiche e innalzarono la spesa pubblica come sostegno all'economia nazionale. Nel 1933 il Presidente Franklin Delano Roosevelt annunciò il New Deal, il nuovo corso dell'economia americana, che aumentò la spesa pubblica per far ripartire i consumi, secondo le teorie di John Maynard Keynes.
Il Paese che rimase più devastato dalla crisi del 1929 fu la Germania di Weimar, già fragilissima a causa dell'enormità delle riparazioni di guerra imposte dal Trattato di Versailles. Proprio l'enorme massa di poveri e disoccupati fu la base del consenso del Partito nazista di Adolf Hitler, che vinse le elezioni nel 1933.
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