Uno dei più gravi conflitti della storia africana, che ha causato tra 178 e 461mila morti. Il 26 febbraio 2003 iniziava il conflitto nel Darfur, nell'ovest del Sudan, che vede contrapposte governo sudanese e miliziani arabi Baggara, cosiddetti Janjaweed, alle milizie ribelli Fur, Zaghawa e Masalit.
Le cause dei dissapori tra le varie etnie della zona sono molto antiche. Dal Medioevo il Darfur passò di mano tra islamici, turco/egiziani e inglesi: nel 1875 Turchia e Regno Unito annetterono la regione, poi riconquistata da Muhammad Ahmad, detto Mahdi (ossia "il Ben Guidato"). Dopo la guerra seguente con gli angloegiziani, il sultano Ali Dinar venne installato al potere come vassallo britannico, prima di venire deposto nel 1916 dal Regno Unito dopo aver fatto aperture verso gli ottomani, che militavano nella Triplice Alleanza, rivale della Triplice Intesa a cui aderivano gli inglesi.
Le cause del conflitto, da qui, sono molteplici, dalla lotta per la terra tra agricoltori nomadi e allevatori all'accesso all'acqua, a religione, etnia e desiderio di indipendenza, soprattutto dopo il passaggio dalla dominazione inglese al Sudan. Si formarono subito dopo l'indipendenza del Sudan due gruppi armati indipendentisti, la Sudan Liberation Army e il Justice and Equality Movement.
La tensione iniziò a salire nel 1991, quando gli Zaghawa, non arabi, denunciarono azioni violente di apartheid da parte delle etnie arabe, dominanti nelle elite governative sudanesi. Da quella data l'escalation fu lenta ma costante, con un'impennata dal 2001, con attacchi a caserme, edifici governativi e militari sudanesi e l'unificazione delle varie frange ribelli Zaghawa e Fur in un'unica sigla.
Al conflitto vero e proprio si arriva soltanto il 26 febbraio 2003, quando il Darfur Liberation Front (DLF) rivendica un attacco compiuto a Golo e l'esercito risponde con un massiccio attacco aereo sui Monti Marrah, roccaforte dei ribelli. Il Sudan, guidato dal Presidente Omar al-Bashir (deposto nel 2019 da un colpo di Stato dopo 30 anni al potere e attualmente sotto processo), apriva così un altro fronte dopo il Sud Sudan e l'est, dove i ribelli sostenuti dall'Eritrea avevano intrapreso una serie di raid contro il nuovo oleodotto verso Port Sudan.
Gli atti di genocidio iniziano il 25 aprile 2003, quando JEM e Sudan Liberation Movement entrano ad Al Fashir, capitale del Darfur settentrionale, e di notte attaccano l'avamposto dell'esercito sudanese, uccidendo 75 soldati, facendo 32 prigionieri tra cui il comandante della base e distruggendo 4 elicotteri da guerra. Era la prima volta che i gruppi ribelli uniti portavano a termine un raid con un tale completo successo contro l'esercito regolare. Nonostante un piano di riaddestramento e riposizionamento per riprendersi dall'umiliante sconfitta, l'esercito continua a inanellare sconfitte, tra cui il massacro di un intero battaglione a Kutum, con 500 morti e 300 prigionieri.
Il governo sudanese si trovò così costretto a stringere un accordo con i Janjaweed, ossia allevatori di etnia araba Baggara che il Sudan aveva già armato per sopprimere in modo brutale le rivolte che erano scoppiate tra i Masalit tra il 1986 e il 1999.
Nel 2004 si arrivò a un primo cessate il fuoco firmato a N'Djamèna, in Ciad, violato dai ribelli. L'Unione Africana fu costretta a spiegare truppe per monitorare il cessate il fuoco. Nel 2005 il Sudan firmò un accordo di pace con la Sudan People's Liberation Army, portando alla fine della Seconda Guerra Civile Sudanese. Nello stesso periodo l'Onu, guidato dal ghanese Kofi Annan, avvertì che le modalità di combattimento utilizzate dai Janjaweed, come smembramenti e massacri di civili, erano tattiche di pulizia etnica già utilizzate nel genocidio in Ruanda e nelle guerre in Jugoslavia.
A fine 2005 il Ciad entrò nel conflitto dichiarando guerra al Sudan dopo un attacco aereo nel villaggio di Adrè, in territorio ciadiano, che portò all'uccisione di 300 ribelli. Ad Abuja, in Nigeria, sotto l'egida di Stati Uniti e Unione Africana, si arrivò nel 2006 agli Accordi di Pace del Darfur, rifiutati da alcune sigle ribelli che continuarono il conflitto. Dopo una grande offensiva sudanese, anche le Nazioni Unite mandarono un contingente di pace.
Nel 2007 il Tribunale Penale Internazionale dell'Aja rinviò a giudizio il ministro sudanese per le questioni umanitarie Ahmed Haroun e il leader Janjaweed Ali Kushayb per 51 casi documentati di crimini contro l'umanità. Dopo altri accordi di pace infruttuosi e la distensione tra Sudan e Ciad, le sigle ribelli si unificarono in 2 gruppi omogenei per negoziare con il governo sudanese, ma il conflitto non si arrestò.
Il 10 maggio 2008 un violento combattimento tra esercito e ribelli devastò la città di Omdurman, che causò oltre 500 morti. Nel 2011 un nuovo round di accordi di pace si tenne a Doha, in Qatar, che prevedeva la creazione di un'autorità regionale speciale e la suddivisione in 3 province ma, nonostante le firme, la situazione sul campo non fece alcun progresso.
Il conflitto si trasformò in una guerra a bassa intensità fino alla caduta di Bashir, nel 2019. La bozza di costituzione che ne seguì prevedeva la stipula di un accordo di pace con le milizie del Darfur entro 6 mesi. Nonostante i ritardi, il 31 agosto 2020 è stato siglato un nuovo accordo di pace, che prevede che alle sigle del Darfur spettano 3 posti nel Consiglio Sovrano, 5 ministeri e un quarto dei seggi nella legislatura di transizione. A ottobre un nuovo accordo portò a un piano decennale per 750 milioni di dollari di investimenti e il rientro di tutti gli sfollati. Tuttavia, la tensione tra le etnie Masalit e Fula non si è arrestata con gli accordi di pace e l'area rimane ancora oggi ad alta tensione.
In vent'anni, si stima che il conflitto nel Darfur abbia lasciato sul campo tra 178 e 461mila vittime, di cui l'80% per malattie. Nel 2010 Bashir venne ufficialmente incriminato dal Tribunale Penale Internazionale per genocidio.
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