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75° - Fine della Seconda Guerra Mondiale

Il 2 settembre 1945, con la firma della resa da parte del Giappone, finiva ufficialmente la Seconda Guerra Mondiale, il più devastante conflitto della storia dell'umanità. Rimanevano sul campo 78 milioni di morti, di cui 49 civili. 

Il Ministro degli Esteri giapponese Mamoru Shigemitsu firma il documento di resa del Giappone il 2 settembre 1945. L'ufficiale americano di fronte a lui è il generale Richard Kerens Sutherland 


Il finale della guerra è un copione già scritto da tempo, che però gli Stati Uniti decidono di anticipare. Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945 fanno cessare ogni resistenza giapponese alla resa. E sono anche una dimostrazione della potenza americana nel mondo, un'intimidazione agli avversari politici, in primo luogo l'Unione Sovietica.
Mosca e Washington collaborano attivamente per la stretta finale sul Giappone imperiale. Dopo le atomiche, l'Armata Rossa invade la Manciuria, regione della Cina occupata militarmente dai giapponesi. Con la sconfitta dell'Armata del Kwantung, le sezioni meglio addestrate dell'esercito imperiale, la resa è inevitabile. Stalin darà ordine di spingersi fino alle Isole Sakhalin e Curili. Sono i giorni in cui i vertici militari giapponesi dibattono se arrendersi o meno.  



Hirohito fu Imperatore del Giappone per 63 anni, dal 25 dicembre 1926 alla morte, avvenuta il 7 gennaio 1989 a 87 anni. È il più longevo monarca della storia giapponese e il nonno dell'attuale imperatore Naruhito


La resa, infatti, non era considerata inevitabile dalle gerarchie militari nemmeno dopo due atomiche. La maggior parte degli ufficiali voleva combattere fino all'ultimo uomo e rendere l'avanzata americana più sanguinosa possibile. 
Fu l'intelligence a far cambiare idea ai generali. Il ministro dell'Esercito, generale Korechika Anami, riferì dell'interrogatorio di un prigioniero americano, secondo cui gli Usa avevano pronte un centinaio di bombe atomiche e che i piani per sganciarne altre due su Tokyo e Kyoto erano già in atto. Non era vero. Gli Stati Uniti ne avrebbero sganciata una terza il 19 agosto e una quarta a settembre in caso di mancata resa, ma non avevano un quantitativo simile di ordigni a disposizione. Anami riferì il suo timore che gli Alleati potessero spazzare via il Giappone come Paese e come popolo. I generali non riuscirono tuttavia a decidere. Chiesero il parere decisivo dell'Imperatore Hirohito, capo supremo dello Stato.
Hirohito, dopo una lunga riflessione, suggerì di accettare la resa piuttosto che sopportare altre sofferenze o la perdita definitiva dell'indipendenza. Il Giappone si risolse così a comunicare in via riservata la decisione agli Alleati, subordinandola al mantenimento del potere imperiale. 
La risposta fu: il Paese sarà governato dal comando supremo alleato, che poi lascerà scegliere al popolo giapponese, a tempo debito, la propria forma di governo. Nessuna garanzia, quindi. Il Presidente americano Harry Truman si impegnò a non sganciare altre bombe atomiche, ma diede ordine di non fermare le operazioni militari fino alla resa ufficiale del Paese. Il giorno dopo, tuttavia, il Presidente diede ordine di interrompere i bombardamenti aerei per agevolare i colloqui di pace. 
La riunione seguente del consiglio di guerra giapponese fu tesa. Alla fine, stante il parere decisivo dell'Imperatore, si pensò che fosse più conveniente arrendersi per cause di forza maggiore piuttosto che dare alla popolazione l'impressione che la guerra non potesse continuare per cause interne, come la mancanza di cibo o liquidità.

La copia giapponese del documento di resa, custodita ell'Edo-Tokyo Museum della capitale. Quella alleata è negli Archivi Nazionali di Washington, sebbene il generale MacArthur ne avesse fatte realizzare 11 copie. Anche le 6 penne utilizzate per la firma sono custodite come cimeli dagli eredi dei generali americani presenti 


Il ritardo nella comunicazione ufficiale della resa fece crescere i dubbi nel comando americano. Alcuni pensarono che i giapponesi stessero prendendo tempo per tentare un ultimo attacco suicida, per concludere la guerra in modo eroico davanti agli occhi della nazione. 
Il Presidente Harry Truman, innervosito dallo stallo, ordinò la ripresa dei bombardamenti alla massima intensità. Oltre mille aerei attaccarono il Giappone con l'obiettivo di distruggere le raffinerie Nippon Oil Company di Tsuchizaki e Honshu, da cui proveniva il 67% della benzina del Paese. 
Truman arrivò a ipotizzare, come soluzione estrema per chiudere alla svelta la guerra, lo sgancio di una bomba atomica sopra Tokyo con il preciso obiettivo di uccidere l'Imperatore. Questo però avrebbe significato da un lato il totale imbarbarimento dell'esercito americano, che avrebbe considerato inesistente l'onore del Capo di Stato sconfitto. Dall'altra, nessuno avrebbe potuto firmare i trattati di pace con un'autorità paragonabile a quella imperiale.
Nella notte del 14 agosto, dopo un confronto tra Hirohito e i vertici militari, il Giappone decise definitivamente la propria resa. Il Paese, d'altro canto, era sull'orlo del colpo di stato. Tre giorni prima il maggiore Kenji Hatanaka e altri alti ufficiali avevano tentato di impedire con la forza all'Imperatore di arrendersi agli Alleati. 
Alle 12 del 15 agosto 1945, in un discorso registrato chiamato Jewel Voice Broadcast, l'Imperatore Hirohito annunciava ufficialmente la resa del Giappone. La firma del documento di resa avvenne il 2 settembre 1945 a bordo della USS Missouri nella Baia di Tokyo. La Seconda Guerra Mondiale era finita, a 6 anni e 1 giorno dallo scoppio delle ostilità.

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