Il 6 e il 9 agosto 1945 la storia dell'umanità cambiava definitivamente. Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki spezzano le ultime resistenze del Giappone, determinando la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma, con un bilancio tra 129mila e 226mila morti, sono anche un tragico monito ai tremendi sviluppi dell'industria bellica moderna.
Con la resa della Germania il 2 maggio 1945, è ormai chiaro che gli Alleati sono i vincitori della guerra. Ma se in Europa le armi dopo oltre cinque anni tacciono, in Asia i combattimenti vanno avanti: il Giappone è infatti deciso a resistere fino all'ultimo uomo, rendendo il più costosa possibile per gli Alleati la propria caduta.
Gli Stati Uniti avevano riconquistato Birmania, Filippine, Borneo e Papua Nuova Guinea e si trovavano costretti a una campagna atollo per atollo, in una lenta avanzata verso il Giappone. Ancora prima della resa tedesca era stata preparata l'Operation Downfall, ossia un'invasione militare del Giappone molto simile a quella operata contro Hitler. I servizi segreti, però, scoprirono che lo schieramento difensivo giapponese era ancora temibile e che l'arcipelago era preparato ad attacchi da ogni lato. Stimarono che Downfall avrebbe portato alla morte tra 400 e 800mila soldati americani, contro i 5-10 milioni di giapponesi. Un costo tremendamente alto per entrambi.
Gli Usa preferirono quindi condurre dei massicci raid aerei e andare a riconquistare una per una tutte le isole che li separavano dal Giappone, sperando di prendere l'Impero per sfinimento. Nè il generale Haywood Hansell nè il suo successore Curtis LeMay, subentrato a gennaio 1945 come comandante delle operazioni contro il Giappone, erano soddisfatti. L'unica strategia che venne attuata fu però intensificare i bombardamenti. Vennero prese di mira 67 città fra cui Tokyo, dove tra il 9 e il 10 marzo 1945 morirono 100mila persone. La caduta di Iwo Jima e Okinawa accelerò l'avanzata, ma da Washington ormai era deciso che serviva una prova di forza per chiudere definitivamente il conflitto.
La possibilità di una bomba atomica era nell'aria già dal 1938, quando gli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprirono la fissione nucleare. Nel timore che la Germania di Hitler potesse sviluppare la bomba, gli Stati Uniti iniziarono le sperimentazioni già alla fine del 1939, con il contributo di scienziati emigrati dalla Germania e dagli altri Paesi dell'Asse.
Nel 1942 venne creata la task force del Progetto Manhattan, che doveva consegnare al governo americano l'arma in tempi rapidi. Come sede venne scelta Los Alamos, nel deserto del New Mexico, e la guida del progetto venne affidata a Julius Robert Oppenheimer. Vennero realizzate due bombe. Una, Little Boy, più piccola. L'altra, Fat Man, più devastante ma più complessa.
Venne nominato un comitato misto di 8 generali e scienziati per decidere i potenziali obiettivi. Ne vennero selezionati 5: Kokura (oggi Kitakyushu), Hiroshima, Yokohama, Niigata e Kyoto. Gli Stati Uniti non erano certi di utilizzare l'atomica, ma con il passare dei mesi l'ipotesi venne presa sempre più in seria considerazione. Truman decise di sostituire Kyoto con Nagasaki nella lista dei possibili bersagli. Venne ipotizzata anche una dimostrazione fuori dal combattimento per indurre il Giappone alla resa, ma i vertici militari obiettarono che l'effetto distruttivo della bomba sarebbe stato rivelato inutilmente, sprecando un prezioso ordigno.
Il 16 luglio 1945 il test decisivo a Los Alamos diede risultati migliori del previsto. Gli Stati Uniti decisero che era il momento di agire. Chiamarono a raccolta i vertici militari alleati e siglarono la Dichiarazione di Potsdam, che stabilì i termini dell'ultimatum definitivo al Giappone. In caso contrario, si leggeva, l'esercito e il territorio giapponese sarebbero stati devastati, senza nessun riferimento alla bomba atomica. Due giorni dopo il Giappone rifiutò l'ultimatum, ponendo come condizioni per la sua possibile resa la preservazione dell'autorità imperiale e il ritiro dell'occupazione dalle isole giapponesi. L'imperatore Hirohito non fece nulla per cambiare la decisione del primo ministro Suzuki Kantaro.
Il giorno del bombardamento su Hiroshima, scelta per la sua importanza strategica e per la numerosa popolazione, venne fissato per il 6 agosto 1945. Il bombardiere Enola Gay, accompagnato da una flottiglia di altri 6 aerei, sganciò Little Boy sopra Hiroshima alle 8:15 esattamente sopra la clinica Shima. Circa 70-80mila persone morirono sul colpo, un terzo della popolazione, e il 69% della città venne distrutto.
Il comitato decisionale, sotto la supervisione del Presidente Harry Truman, si riunì per decidere il da farsi. Nel giro di 24 ore, nonostante la devastazione, il governo giapponese non aveva comunicato alcuna intenzione di arrendersi. Si scelse come bersaglio Kokura. In alternativa, se il cielo fose stato coperto, sarebbe toccato a Nagasaki, il porto più grande del sud del Giappone.
Il 9 agosto 1945 fu il Bockscar a portare la seconda bomba atomica, Fat Man. Le nuvole, che coprivano il 70% del cielo, salvarono Kokura e condannarono Nagasaki. La bomba venne sganciata alle 11:10. Le colline circostanti protessero la città, alleggerendo il bilancio. Morirono sul colpo 40mila persone.
Gli Stati Uniti avevano in programma di sganciare altre atomiche se il Giappone non si fosse arreso: una il 19 agosto, 3 a settembre e 3 a ottobre.
Nonostante le due bombe, il Giappone non si arrese subito. Il confronto all'interno del governo andò avanti per tre giorni. La decisione dell'esecutivo fu riproporre agli Alleati la disponibilità alla resa con la sola clausola di salvaguardia dell'autorità imperiale. Fu Hirohito a prendere la decisione definitiva. Il 14 agosto 1945 l'Imperatore annunciò al Paese la resa. La Seconda Guerra Mondiale era definitivamente conclusa.
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