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Genocidio in Ruanda, la più grande strage mai documentata nella storia africana

Il più grave fatto di sangue mai documentato nella storia africana e tra i più devastanti del XX secolo dopo le Guerre Mondiali. Il 7 aprile 1994 iniziava il genocidio in Ruanda, opera dell'etnia Hutu a danno dei Tutsi, in cui morirono tra 500mila e 1 milione di persone.

Il genocidio del Ruanda ebbe inizio il 7 aprile 1994 e terminò il 15 luglio successivo. Con 1 milione di morti, prevalentemente Tutsi, uccisi dal gruppo etnico rivale degli Hutu, è il più grande massacro mai documentato nella storia dell'Africa

Il Ruanda, originariamente governato dall'etnia Tutsi, venne annesso dalla Prussia nel 1884, durante la colonizzazione europea degli ultimi scampoli d'Africa rimasti non occupati. Parte dell'Africa Orientale Tedesca, durante la Grande Guerra nel 1916 venne occupato dal Belgio attraverso il vicino Congo belga, molto più grande, occupazione confermata dal mandato della Società delle Nazioni al Belgio nel 1919.
I belgi alimentarono un sistema coloniale molto duro alleandosi con i Tutsi, la ex etnia al potere, e affidando tutti i lavori più pesanti e schiavili agli Hutu, che però erano la maggioranza degli abitanti. Con il tempo gli Hutu si organizzarono politicamente con un movimento, il Parmehutu, che lentamente assunse un'influenza impossibile da ignorare. Nel 1959 una rivolta degli Hutu contro la monarchia Tutsi, alleata del Belgio, contrinse la monarchia fiamminga a concedere una Costituzione e poi a cedere il controllo del Paese al Parmehutu. Il 1° luglio 1962 il Ruanda divenne una Repubblica indipendente e sotto la presidenza di Grègoire Kayibanda si diffusero massacri e atti di violenza contro i Tutsi, che vennero in gran parte costretti a emigrare in Burundi, altra ex colonia belga diventata indipendente insieme al Ruanda. Le tensioni portarono violenta instabilità anche in questo secondo Paese, fino alla presa del potere dei Tutsi nel 1966.
Nel 1972 un tentativo di colpo di Stato in Burundi portò a un primo genocidio, con 200mila Hutu massacrati dall'etnia Tutsi al potere. Nel 1973 il generale Hutu Juvènal Habyarimana attuò un colpo di Stato incarcerando il Presidente Kayibanda, che morì recluso poco tempo dopo. Habyarimana instaurò una sanguinaria dittatura e redasse una nuova Costituzione, secondo cui ai Tutsi era precluso accedere alle più alte cariche dello Stato. Nel 1990 un movimento di esuli Tutsi, il Fronte Patriottico Ruandese rifugiatosi in Uganda tentò un colpo di Stato in Ruanda, rinfocolando le tensioni etniche. Il 2 ottobre 1990 scoppiò una vera e propria 
guerra civile in Ruanda, che contrappose le forze governative del Presidente Habyarimana e i ribelli del Fronte Patriottico Ruandese (Rwandan Patriotic Front, RPF) e, dal punto di vista etnico, proprio Hutu e i Tutsi. Il 4 agosto 1993 le ostilità terminarono con la firma degli accordi di Arusha.

Il generale Hutu Juvenal Habyarimana, ministro della Difesa, prese il potere con un colpo di Stato il 5 luglio 1973, destituendo il primo Presidente del Ruanda Grègoire Kayibanda. L'attentato al suo aereo il 6 aprile 1994, che uccise anche il Presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira e altre 10 persone, fu l'evento scatenante del genocidio

In questo scenario incendiario, la miccia che accese il conflitto è un atto semiterroristico: il 6 aprile 1994, di rientro dai colloqui di pace con il Presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, l'aereo presidenziale del generale Habyarimana, che ospitava entrambi i capi di Stato, viene abbattuto da un missile terra/aria durante l'atterraggio a Kigali. Tutti e 12 i passeggeri muoiono.
La reazione degli Hutu fu violentissima. A partire dal 7 aprile 1994 guardia presidenziale, gruppi paramilitari ed esercito cominciarono a effettuare massacri e pulizie etniche nei confronti dei Tutsi, definiti "scarafaggi" dalla radio estremista Rtlm, nel messaggio considerato il via libera alla violenza. L'Akazu, il circolo di intellettuali e familiari più vicini al defunto Presidente Habyarimana, portarono avanti l'idea che il totale genocidio dei Tutsi era l'unico mezzo per sopravvivere.
Il genocidio infatti era perfettamente pianificato dal governo del Ruanda, che organizzò milizie di comuni cittadini in ogni quartiere, distribuendo AK 47 e granate su richiesta, oltre al classico machete: ne erano stati importati 581mila da Habyarimana dalla Cina in preparazione a futuri atti di violenza, perché più economici delle pistole. Si seppe solo nel 2000 che Boutros Ghali, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, quando era Ministro degli Esteri dell'Egitto aveva venduto bombe di mortaio, lanciarazzi, granate e munizioni al Ruanda per oltre 26 milioni di dollari.
Particolarmente controverso fu il ruolo della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite per il Ruanda (UNAMIR), istituita nell'ottobre 1993 per favorire il processo di pace tra Ruanda e Burundi. 
Il mandato della missione era quello di assicurare la sicurezza della capitale Kigali, monitorare il rispetto del cessate il fuoco tra le parti, la smilitarizzazione delle fazioni, garantire sicurezza nel paese durante il governo di transizione, indire nuove e democratiche elezioni, coordinare gli aiuti umanitari ed effettuare lo sminamento del paese. L'UNAMIR è considerato il più grande fallimento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per la mancanza di regole di ingaggio chiare e soprattutto per non essere riuscita ad evitare il genocidio.
In particolare, il mandato dell'UNAMIR era vago soprattutto riguardo alla difesa dei civili, motivo per cui ogni Stato andò per sé, causando enorme imbarazzo internazionale. Gli Stati Uniti ad esempio scelsero di non intervenire perché già impegnati dalla missione di peacekeeping in Somalia e il Belgio ritirò le truppe dal Paese, seguito dalla maggior parte degli altri Stati. Solo il generale canadese Roméo Dallaire rifiutò di abbandonare il Ruanda, nella speranza di poter ancora evitare il genocidio, rimanendo con un contingente di soli 270 militari canadesi supportati da poco più di 200 truppe locali. La missione venne poi sciolta nel 1996. Nel corso del mandato morirono 27 membri dell'UNAMIR, 22 caschi blu, 3 osservatori militari, un membro civile della polizia in collaborazione con l'ONU e un interprete. 
Altrettanto incapace di fermare i massacri si rivelò l
'Opération Turquoise,  condotta dalle forze armate francesi nel giugno del 1994 sotto il mandato delle Nazioni Unite. Nonostante il dispiegamento di 2.550 militari francesi e 500 soldati africani. Iniziato il 22 giugno, l'intervento cessò con lo spirare del mandato ONU il 21 agosto 1994, a seguito del quale tutte le truppe vennero immediatamente ritirate.

Il Ruanda fu colonia prussiana a partire dal 1884, prima di venire annesso al Belgio dopo la Grande Guerra. Indipendente dal 1° luglio 1962 insieme al vicino Burundi, nel 2001 ha adottato una nuova bandiera, simbolo di pace, crescita economica e prosperità

I massacri a colpi di machete uccisero oltre 1 milione di Tutsi e Hutu moderati. La strage più sanguinaria avvenne a Gikongoro, dove oltre 27mila Tutsi vennero giustiziati nel giro di una settimana. La Francia, durante questo periodo, si distinse per il sostegno attivo al governo ruandese, fornendo armi ed addestramento militare alle milizie giovanili di Habyarimana, gli Interahamwe e Impuzamugambi. I Tutsi si riorganizzarono nel Fronte Patriottico Ruandese, che riuscì dopo oltre 3 mesi a prendere il controllo del Paese mettendo fine alle ostilità.
Dopo il genocidio subito dai Tutsi, comunque, il Fronte riuscì a conquistare il potere in Ruanda, costringendo oltre due milioni di ruandesi di etnia Hutu a fuggire nel confinante Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dove ottennero l'appoggio del Presidente Mobutu Sese Seko, che gli permise di fondare delle bande armate che svolgevano operazioni di guerriglia ai danni dei Tutsi. Il Ruanda, il Burundi e l'Uganda, anche per difendere la minoranza dei Tutsi congolesi Banyamulenge, che era perseguitata dai guerriglieri Hutu favorevoli a Mobutu, invasero lo Zaire appoggiando la guerra di liberazione contro Mobutu guidata da Laurent-Désiré Kabila, che nel 1997 prese il potere e ottenne avviò un primo processo per accertare le responsabilità del genocidio, concluso con 22 condanne. 
L'odio razziale venne così trasmesso alle Nazioni vicine: si suppone infatti che essi abbiano alimentato la Prima e la Seconda Guerra del Congo (rispettivamente 1996-1997 e 1998-2003), e che siano stati uno dei principali fattori della guerra civile in Burundi (1993-2005).
Il Tribunale Penale Internazionale, nel frattempo, aveva istituito uno speciale organismo per indagare sul genocidio, il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR). Le prime condanne sono arrivate nel 2005, quando il colonnello Aloys Simba venne condannato a 25 anni di carcere per genocidio e crimini contro l'umanità l'ex sindaco della città di Gikoro, Paul Bisengimana, a 15 anni di prigione. Nel settembre del 2005 venne inoltre concesso a 774 prigionieri di lavorare alla costruzione di strade come pena alternativa alla detenzione in carcere. 
Numerosi autori delle stragi, comunque, rimasero impuniti o indirettamente protetti da Paesi occidentali come il Regno Unito a causa dell'assenza di trattati di estradizione con il Ruanda. Gran parte dei responsabili trovarono rifugio nel confinante Zaire (poi Repubblica Democratica del Congo). Nel marzo 2008 un processo di appello ha condannato il sacerdote cattolico Athanase Seromba all'ergastolo, accusandolo di aver partecipato attivamente ai massacri dei Tutsi senza mostrare segni di pentimento. Il 18 dicembre 2008 il tribunale internazionale speciale istituito ad Arusha, in Tanzania, ha condannato all'ergastolo per genocidio dei Tutsi il colonnello Théoneste Bagosora, nel 1994 a capo del Ministero della Difesa ruandese e ritenuto l'ideatore del massacro, il maggiore Aloys Ntabakuze e il colonnello Anatole Nsengiyumva.

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