Il penultimo Papa del Settecento, che passerà alla storia come colui che soppresse i gesuiti. Il 22 settembre 1774 moriva a 68 anni Clemente XIV, al secolo Lorenzo Ganganelli.
Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli nacque a Santarcangelo di Romagna, vicino a Rimini, nello Stato Pontificio, il 31 ottobre 1705. Curiosamente, era nobile solo dalla parte della madre, Angela Serafina Maria Mazzi (o Macci), originaria di Pesaro, mentre suo padre era Lorenzo Ganganelli, medico originario di Borgo Pace, che apparteneva al Ducato di Urbino. Venne battezzato il 2 novembre nella chiesa di Sant'Agata di Santarcangelo.
Molto presto rimase orfano di entrambi i genitori e la famiglia lo destinò alla vita monastica, scelta che secondo le cronache accolse con piacere. Studiò al seminario dei Gesuiti di Rimini, poi in quello dei Padri Scolopi a Urbino e a soli 17 anni, ad aprile 1723, entrò nel noviziato del convento di Urbino dei frati francescani conventuali. Un mese dopo, il 16 maggio, vestì per la prima volta l'abito francescano nella chiesa di San Francesco a Mondaino, a sud di Rimini, scegliendo, come tutti i frati, di cambiare nome. Scelse quindi come nome religioso Lorenzo, in memoria del padre.
Nel 1731 ottenne la licenza in teologia nello Studium francescano e il titolo di Maestro e probabilmente ricevette nello stesso anno gli ordini sacri, a 26 anni, anche se non lo sappiamo con certezza. Scelse quindi la carriera di insegnante in seminari di varie città del Centro Italia finché nel 1740, a soli 35 anni, fu chiamato a Roma a dirigere il Collegio di San Bonaventura. Nel 1743 pubblicò la sua prima opera, Diatriba Theologica, che curiosamente dedicò a Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti. Il suo operato in qualità di reggente del Collegio gli procurò la stima di Papa Benedetto XIV, che lo nominò anche consultore dell'Inquisizione. Ganganelli fondò quindi a Roma il Collegio di Sant'Antonio presso la chiesa di S. Efrem, per la formazione dei missionari dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali, cui apparteneva.
Divenne quindi un membro molto in vista all'interno dell'Ordine: per due volte, nel 1753 e nel 1756, fu eletto Superiore Generale dell'Ordine, ma entrambe le volte rifiutò l'elezione. Papa Clemente XIII, successore di Benedetto XIV, lo creò cardinale presbitero di San Lorenzo in Panisperna il 19 novembre 1759, a 54 anni, per poi optare tre anni dopo per il titolo dei Santi XII Apostoli. In cambio, Ganganelli chiese e ottenne di continuare la sua vita da frate, senza alcuna consacrazione episcopale nè altri incarichi, risiedendo in un umile convento dei francescani conventuali di Roma.
Tuttavia, ben presto i rapporti tra Ganganelli e il Papa si raffreddarono, visto che quest'ultimo non approvava la politica anti francese del Pontefice. Venne progressivamente allontanato dalla Curia Romana e, con sua soddisfazione, riuscì a condurre una vita ritirata per un decennio.
Il veneziano Clemente XIII, al secolo Carlo della Torre di Rezzonico, morì improvvisamente il 2 febbraio 1769 nel Palazzo Apostolico a causa di un ictus dopo poco più di 10 anni di pontificato.
Il Conclave si aprì quindi nel Palazzo Apostolico il 15 febbraio, dopo i funerali, con un punto centrale all'ordine del giorno: l'abolizione della Compagnia di Gesù, che i regni di Francia, Spagna e Portogallo, tutti retti dai cattolici Borbone, avevano già espulso. I cardinali francesi e del Regno di Napoli erano in prima linea nel caldeggiare l'elezione di un cardinale antigesuita. Il motivo era presto detto: dalla metà del Seicento i Gesuiti erano diventati l'Ordine più prestigioso in Europa, in grado di compiere operazioni politiche e soprattutto economiche su vasta scala ed erano finiti per venir giudicati come troppo influenti nelle varie corti e nell'operato della Santa Sede. Inoltre, le espulsioni restituivano ai vari Stati le ricchezze accumulate dalla Compagnia.
Il Sacro Collegio, composto da 47 cardinali, era come di consueto diviso tra porporati “di Corte”, fedeli ai regnanti dei rispettivi Paesi, e “zelanti”, cioè non schierati. Quest'ultimo gruppo era la maggioranza ed era in generale favorevole ai Gesuiti. Serviva quindi un lungo e complesso negoziato: il cardinale inizialmente candidato dalle potenze europee era l'arcivescovo di Napoli Antonino Sersale, ma gli zelanti chiarirono subito che non lo avrebbero mai appoggiato, non solo perché troppo antigesuita ma anche per i suoi legami troppo stretti con i Borbone.
Il clima era tale che i cardinali francesi chiesero che il futuro Papa, prima di accettare l'elezione, avrebbe dovuto fare una promessa scritta di sopprimere i Gesuiti. Anzi, chiesero pochi giorni dopo che tutti i cardinali ritenuti papabili avrebbero dovuto sottoscrivere l'impegno. Il Decano, l'86enne Carlo Alberto Guidobono Cavalchini, Governatore di Velletri e Prefetto della Congregazione per i Vescovi e i Regolari, rifiutò sdegnosamente la proposta, nonostante il Re di Spagna Carlo III in persona fece sapere che era disposto a farsi carico di quella responsabilità. Le tensioni erano tali che dopo un mese di Conclave l'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena, che non si era esposto sulla questione dei Gesuiti, si recò a Roma accompagnato dal fratello Leopoldo I di Toscana, suo successore al trono, e nonostante la clausura del Conclave ebbero un incontro con i cardinali per trovare una mediazione, senza successo.
Il cardinale de Bernis, arcivescovo di Albi, minacciò addirittura il blocco francese di Roma e la provocazione di insurrezioni popolari per superare la resistenza degli zelanti, mentre i Re di Francia e Spagna, in virtù del loro diritto di veto, esclusero ben 27 dei 47 cardinali all'interno del Conclave. Dato che un'altra decina non erano papabili perché troppo anziani, rimasero concretamente in lizza soltanto 4/5 cardinali.
Il Decano Cavalchini protestò in modo vibrante per le pesanti interferenze esterne: il Conclave non era libero di eleggere il Pontefice. Ma i cardinali borbonici insistevano, puntando a intimorire e logorare i cardinali, minacciando anche di lasciare il Conclave e facendo giungere altri 2 cardinali spagnoli, l'arcivescovo di Siviglia Francisco de Solis e l'abate di Alcalà la Real Buenaventura de la Cerda.
Fu proprio Solis a prendersi l'impegno di sondare i pochi cardinali eleggibili e a chiedere per primo al cardinale Ganganelli di sottoscrivere la promessa di abolizione dei Gesuiti richiesta dai re borbonici in cambio dell'elezione. Ganganelli, infatti, era l'unico frate del Sacro Collegio, era zelante, apparteneva ai francescani conventuali, ordine non compromesso con nessuna potenza e poteva quindi potenzialmente essere votato anche dagli zelanti.
Ganganelli scelse di non impegnarsi con nessuno, cercando di mantenersi vago, ma alla fine firmò un documento senza promesse (per non violare il diritto canonico), ma che soddisfece i borbonici, dichiarando che "riconosceva nel sovrano pontefice il diritto di sciogliere, in buona coscienza, la Compagnia di Gesù, a condizione di rispettare il diritto canonico; inoltre che fosse auspicabile che il papa facesse tutto quello che fosse in suo potere per soddisfare i desideri delle Corone". Il testo originale di tale dichiarazione è andato perduto, ma la sua esistenza sembra accertata sia dagli eventi successivi, sia dalla testimonianza del cardinale de Bernis in due lettere del 1769. Ai voti dei cardinali di corte si aggiunsero ben presto quelli degli zelanti, che, ignorando il documento firmato, lo consideravano neutrale o addirittura favorevole ai gesuiti.
Il 18 maggio 1769, a 63 anni, Lorenzo Ganganelli fu eletto Papa all'unanimità, con 46 voti su 47. Mancava il suo, che diede al cardinale Carlo Rezzonico, Camerlengo del Collegio Cardinalizio. Ganganelli, in continuità con il predecessore, scelse il nome di Clemente XIV.
Intanto, altri regnanti cattolici iniziarono a vietare l'attività della Compagnia di Gesù, anche se il Papa non era personalmente favorevole allo scioglimento della Compagnia e rimase inizialmente indeciso. Fu ancora una volta il cardinale francese de Bernis, appena 2 mesi dopo l'elezione, a portargli il sollecito dei Re di Francia e Spagna e a ricordargli il documento di semi-impegno che aveva firmato. Il Papa scrisse a entrambi i sovrani promettendo che non avrebbe lasciato la questione irrisolta, ma inizialmente non prese alcuna decisione.
Clemente XIV avviò poi una radicale riforma dell'Ordine, con il divieto di accogliere novizi e l'ordine che i seminari guidati dai Gesuiti passassero sotto il comando del vescovo locale, a partire dal più grande in Italia a Frascati.
L'obiettivo era portare i Gesuiti verso l'estinzione con il tempo, senza arrivare a uno scioglimento ufficiale, ma ciò non fu sufficiente. Nel 1772 il Re di Spagna annunciò l'intenzione di nazionalizzare le tutte congregazioni religiose presenti sul territorio ispanico (non solo i gesuiti) e propose quindi al Papa un accordo: la rinuncia a questi provvedimenti e la restituzione di Avignone e di Benevento alla Chiesa in cambio della soppressione della Compagnia di Gesù.
Ma Clemente XIV continuava a prendere tempo, per cui Francia e Spagna presero l'iniziativa, diffondendo nel 1773 la voce che stessero progettando un'invasione congiunta dello Stato Pontificio, cosa che spinse l'arciduchessa d'Austria, Maria Teresa, ad esprimere la propria neutralità. Senza la difesa dell'unica monarchia cattolica in grado di resistere a francesi e spagnoli, Clemente XIV capitolò: il 21 luglio 1773 promulgò la bolla Dominus ac Redemptor, con cui dispose lo scioglimento della Compagnia di Gesù.
La soppressione dei gesuiti fu celebrata dalle elite di tutta Europa come una vittoria dell'illuminismo e dell'assolutismo sul papato, mentre i gesuiti accettarono la decisione del pontefice senza alcuna opposizione. Il Ministro Generale dei gesuiti Lorenzo Ricci venne addirittura arrestato e imprigionato a Castel Sant'Angelo. Nel 1782, infine, vennero anche espulsi dall'Impero d'Austria. I gesuiti trovarono rifugio in nazioni non cattoliche, come Germania, Russia, Belgio e Paesi Bassi. Solo a fine '700 la Santa Sede riprese a riconoscere ordini gesuitici a livello locale, fino al ripristino totale da parte di Pio VII il 30 luglio 1814, 41 anni dopo.
Dopo lo scioglimento della Compagnia, il Re di Francia Luigi XV restituì alla Santa Sede la città di Avignone e il Contado Venassino, il Re di Napoli le città di Benevento e Pontecorvo. Clemente XIV ristabilì anche le relazioni diplomatiche con il Portogallo, interrotte nel 1759 a causa delle presunte implicazioni dei gesuiti nel tentativo di assassinio di Re Giuseppe I. In segno di distensione, il Papa concesse la porpora cardinalizia a Paulo António de Carvalho e Mendonça, fratello del Primo Ministro, che morirà però solo un mese dopo.
Guardando all'Inghilterra, invece, dopo la morte, il 1° gennaio 1766, del primo pretendente giacobita al trono inglese, il cattolico Giacomo Francesco Edoardo Stuart, figlio ed erede di re Giacomo II d'Inghilterra, Clemente XIV rifiutò di riconoscere il figlio Carlo Edoardo come legittimo sovrano, riconoscendo implicitamente la legittimità della dinastia degli Hannover, anche se continuò ad offrire ospitalità agli esuli Stuart a Roma.
Eletto Papa già in età abbastanza avanzata, Clemente XIV non ebbe un lungo pontificato. Costretto a letto il 10 settembre, morì il 22 settembre 1774 per scorbuto a 68 anni, dopo poco più di 5 anni di pontificato. La rapida decomposizione della salma generò il sospetto di un avvelenamento per mano di alcuni gesuiti, ma che il decesso fosse dovuto all'età e a cause naturali fu confermato sia dal medico personale che dal confessore. Come tutti i Papi, venne inizialmente sepolto nella Basilica di San Pietro, ma nel 1802 il suo corpo venne traslato nella chiesa francescana dei Santi XII Apostoli, all'interno del suo monumento funerario, scolpito da Antonio Canova.
I suoi concittadini di Santarcangelo di Romagna eressero in suo onore un suggestivo arco che ancora oggi campeggia nella piazza principale della cittadina, iniziato nel 1772 e terminato nel 1777, a tre anni dalla morte di Clemente XIV.
Dopo un Conclave di ben 4 mesi, il 15 febbraio 1775 verrà eletto come suo successore il cardinale Giovanni Angelo Braschi, che assumerà il nome di Pio VI.
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