Un uomo che ha cambiato radicalmente la nostra comprensione del mondo degli atomi e della loro struttura, figura imprescindibile nella scienza del XX secolo. Il 7 ottobre 1885 nasceva Niels Bohr, colui che per la prima volta combinò la fisica classica e la nascente teoria dei quanti, con un'influenza cruciale sullo sviluppo della meccanica quantistica.
Niels Bohr nacque a Copenaghen, Danimarca, il 7 ottobre 1885. Suo padre, Christian Bohr, era un fisiologo danese di religione luterana, docente all'Università di Copenaghen. Anche lui era un pioniere della scienza, scopritore del meccanismo di rilascio di molecole di ossigeno da parte dell'emoglobina quando questa è influenzata dalla concentrazione di idrogeno (pH) e anidride carbonica, detto Effetto Bohr. Henrik Bohr, suo nonno paterno, fu invece insegnante e preside del Westenske Institut di Copenaghen, mentre sua madre, Ellen Adler, era una ricca borghese danese di origine ebraica, la cui famiglia era assai importante nell'ambiente bancario e parlamentare.
Suo fratello Harald Bohr divenne un matematico dopo aver abbandonato la carriera di calciatore; era arrivato alla convocazione in Nazionale per le Olimpiadi. Niels ebbe anche una sorella maggiore, che divenne insegnante nella scuola fondata dalla zia dei 3 fratelli, Hanna Adler, pioniera dell'introduzione dell'educazione mista in Danimarca. Niels inizialmente scelse la carriera di calciatore come il fratello, nel ruolo di portiere, ottenendo risultati per più modesti. Non superò mai la categoria dilettantistica. Giocò nel 1905 insieme al fratello nell'Akademisk Boldklub, una delle squadre di Copenaghen, ma un episodio stroncò sul nascere la sua carriera: in un incontro amichevole tra il suo club e una squadra tedesca, Bohr subì una rete su un facile tiro da lunga distanza, distratto, per sua stessa ammissione, da un problema matematico.
Bohr si laureò quindi in fisica all'Università di Copenaghen nel 1911 con una tesi sull'impossibilità di spiegare con la fisica classica i fenomeni magnetici. Nel 1921, da questo lavoro la fisica olandese Hendrika Johanna van Leeuwen formulò il teorema che prende il nome di teorema di Bohr-Van Leeuwen. In sostanza, il giovane Bohr sosteneva che quando vengono applicate in modo coerente la meccanica statistica e classica, la media termica della magnetizzazione è sempre nulla. In termini semplici: immaginiamo un atomo o un materiale come un insieme di particelle cariche (elettroni e nuclei) che si muovono secondo le leggi della fisica classica, comprese le forze magnetiche. Secondo queste leggi pre quantistiche, le particelle cariche che si muovono in un campo magnetico subiscono una forza, detta Forza di Lorentz, che curva il loro percorso e dovrebbe, in teoria, indurre una magnetizzazione. Le particelle, così, sono in uno stato di equilibrio termodinamico, dove le loro velocità e posizioni sono determinate solo dalla temperatura (agitazione termica). La ricerca di Bohr dimostrava invece che, controintuitivamente, quando si fa la media del contributo magnetico di tutte le particelle in questo stato di equilibrio termico su tutte le possibili velocità e posizioni, tutti gli effetti magnetici si annullano perfettamente. Quindi, un campo magnetico esterno può influenzare il percorso delle cariche ma non la loro energia cinetica o la loro distribuzione in modo tale da creare una magnetizzazione netta. Dunque, per spiegare anche il più semplice effetto magnetico (il diamagnetismo), la meccanica classica risultava insufficiente ed era invece necessario ricorrere a quella quantistica.
Grazie a questa tesi, Bohr vince una borsa di studio e si trasferisce a Cambridge, dove sperava di collaborare con il fisico Joseph John Thomson, una leggenda nel campo per aver scoperto l'elettrone nel 1897, altri studi sulla teoria dei metalli. Dalle lezioni di Sir James Jeans, astronomo, matematico e fisico, viene però attratto nuovamente dallo studio dell'elettromagnetismo e, grazie alla borsa di studio che la Fondazione della danese Carlsberg gli aveva offerto per dargli la possibilità di studiare un anno all'estero, si trasferì all'Università di Manchester, dove entrò nel team di ricerca di Ernest Rutherford. Il fisico inglese, poi Premio Nobel nel 1908, aveva appena elaborato un nuovo modello atomico, che aveva sostituito quello precedente proposto proprio da Joseph John Thomson nel 1904. Secondo Thomson, la maggior parte del volume atomico era costituito da una massa fluida e uniforme con carica positiva (la pasta del panettone); gli elettroni (particelle di carica negativa, che Thomson aveva scoperto nel 1897) sono distribuiti uniformemente all'interno di questa sfera positiva per bilanciarne la carica. L'atomo è elettricamente neutro perché la carica positiva totale è esattamente bilanciata dalla carica negativa totale degli elettroni.
Rutherford, invece, aveva bombardato una sottilissima lamina d'oro con un fascio di particelle alfa (α), cariche positivamente e molto massicce; attorno alla lamina era posizionato uno schermo che rilevava dove andavano a finire le particelle α dopo aver attraversato o colpito l'oro. La maggior parte delle particelle α (oltre il 99,99%) attraversava la lamina indisturbata, indicando che la materia era quindi composta quasi interamente spazio vuoto. Una piccola frazione di particelle α subiva grandi deflessioni e pochissime particelle (circa 1 su 8.000) venivano respinte indietro, come se avessero colpito qualcosa di estremamente duro e massiccio.
Rutherford aveva quindi proposto un nuovo modello, detto planetario, che aveva rivoluzionato la fisica atomica. Secondo lui, la carica positiva e quasi tutta la massa dell'atomo sono concentrate in un volume minuscolo e denso al centro, chiamato nucleo. Gli elettroni carichi negativamente, con massa trascurabile, ruotano a grande distanza dal nucleo occupando il vuoto, in modo simile ai pianeti che orbitano attorno al Sole; il nucleo positivo e gli elettroni negativi erano tenuti insieme d un'attrazione elettrostatica detta Forza di Coulomb.
Bohr si accorse che il modello di Rutherford aveva però un difetto fatale secondo la fisica classica. Secondo l'elettromagnetismo (teoria di Maxwell), una carica elettrica in movimento accelerato (come un elettrone in un'orbita circolare) emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica; perdendo energia, l'elettrone rallenterebbe e, inevitabilmente, cadrebbe a spirale sul nucleo in una frazione di secondo, causando il collasso dell'atomo. La struttura dell'atomo di Rutherford, pur apparendo strutturalmente corretta, era però impossibile per le leggi della fisica classica.
Bohr, quindi, inizia a lavorare a un modello atomico proprio, che propone nel 1913. Contrariamente alla fisica classica, che prevedeva che gli elettroni perdessero energia, Bohr postulò che gli elettroni si muovano attorno al nucleo solo su specifiche orbite circolari, chiamate orbite stazionarie o livelli energetici, di raggio e energia ben definiti. Quando un elettrone si trova su una di queste orbite permesse, non emette né assorbe energia, e quindi l'atomo non collassa; L'emissione o l'assorbimento di energia avviene solo quando l'elettrone salta da un'orbita stazionaria all'altra. Inoltre, il momento angolare dell'elettrone è quantizzato, cioè non può assumere qualsiasi valore, ma solo multipli interi di una quantità fondamentale fissa, detta numero quantico principale. Questo nuovo modello spiegava la stabilità dell'atomo e perché gli elettroni non "cadono" sul nucleo introducendo per la prima volta concetti quantistici: le orbite stazionarie sono le uniche che permettono all'elettrone di esistere senza perdere energia, agendo come "rotaie" invisibili e predefinite.
Il modello di Bohr era ancora più convincente di quello di Rutherford, ma aveva ancora alcuni difetti. Innanzitutto, funzionava solo per l'idrogeno, non riusciva a spiegare in modo soddisfacente gli spettri di atomi più complessi e, inoltre, il concetto di quantizzazione del momento angolare era stato introdotto in modo arbitrario, senza giustificazione teorica solida, per far funzionare i calcoli.
Grazie alle sue ricerche Bohr divenne quindi non solo professore all'Università di Copenaghen ma anche Direttore del nuovo Istituto di Fisica Teorica dell'Università, diventando uno degli scienziati più famosi al mondo, all'età di appena 38 anni. Il 27 aprile 1920 Bohr venne invitato a Berlino dal fisico tedesco Max Planck, iniziatore della fisica quantistica e Premio Nobel nel 1918 insieme ad Albert Einstein, per un incontro tra 3 dei più importanti fisici dell’epoca. "Poche volte, nella vita, una persona mi ha dato tanta gioia con la sua sola presenza come è stato nel suo caso", scriverà poi Einstein a Bohr, che nel 1922 ricevette a sua volta il Premio Nobel per la Fisica, rendendo l'Istituto che dirigeva uno dei punti di riferimento mondiali nell'ambiente negli Anni '20/'30.
In occasione del Congresso Internazionale dei Fisici del 1927, tenutosi a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta, Bohr enunciò un'altra sua teoria, diventata poi fondamentale per la fisica quantistica, il principio di complementarità: per comprendere completamente la realtà subatomica, è necessario usare due descrizioni (o proprietà) che sono tra loro mutuamente esclusive, cioè non possono essere osservate contemporaneamente, ma sono entrambe necessarie e complete. Non è possibile vedere una cosa sotto due aspetti opposti nello stesso momento, ma entrambi sono veri e servono per avere il quadro completo. L'esempio classico di questa teoria è la luce, che può manifestarsi secondo il dualismo onda/particella. La luce possiede entrambe queste proprietà: è un fenomeno diffuso, con una frequenza e una lunghezza d'onda, senza una posizione precisa, e allo stesso tempo un corpuscolo precisamente localizzato, con massa, e moto, posizione. Queste due proprietà non sono in contraddizione; sono due facce, ugualmente vere, della stessa medaglia, principio chiave della fisica quantistica.
Queste due proprietà non si possono mai osservare contemporaneamente: ogni volta bisogna scegliere un preciso atto di misurazione che determina quale aspetto della realtà quantistica si esamina. In sintesi, Bohr rivela, attraverso la complementarità, che la nostra percezione classica del mondo è insufficiente per descrivere l'essenza profonda della realtà. Da questa base, pochi mesi dopo, verrà ricavato da Werner Karl Heisenberg, allievo di Bohr, il Principio di Indeterminazione: è impossibile conoscere simultaneamente e con precisione due proprietà fisiche complementari di una particella subatomica, ad esempio posizione e quantità di moto (massa per velocità). Questi sono i pilastri della cosiddetta Interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica.
Chi non era d'accordo con questa teoria era Albert Einstein. Secondo lui, quest'interpretazione portava con sé una natura solo probabilistica dei processi fisici, anche su scala atomica mentre la natura, secondo Einstein, era un sistema perfettamente ordinato di leggi deterministiche. Einstein e Bohr per anni si scambiarono lettere sui fondamenti fisici e filosofici del mondo naturale: nel 1926, Einstein durante una di queste discussioni scrisse a Bohr la sua frase più celebre: "Dio non gioca a dadi con l'universo". Bohr rispose: "Non dire a Dio come deve giocare". Tra i due, però, esisteva un grande rispetto che impedì ai loro rapporti di sfociare in rivalità. Diverso fu il caso di Heisenberg che, con enorme dispiacere di Bohr, accettò di guidare il programma nucleare tedesco, il progetto con cui Adolf Hitler voleva costruire la bomba atomica, naufragato poi con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Da allora, i rapporti tra maestro e allievo si ruppero definitivamente.
Niels Bohr, che nel 1912 aveva sposato la fisica Margrethe Norlund, ebbe 6 figli, tutti maschi, di cui 2 morirono in giovane età: Christian Bohr morì nel 1934 a soli 28 anni in un incidente in barca) e un altro figlio morì di meningite pochi giorni dopo la nascita. Di questi, il più giovane, Aage Bohr seguì le orme del padre e divenne un fisico nucleare, vincendo a sua volta il Premio Nobel per la Fisica nel 1975, anch'egli per il suo lavoro sulla teoria della struttura del nucleo atomico: era la 4° volta (su 5) che padre e figlio venivano insigniti del Nobel.
Pochi mesi dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con l'operazione Weserübung Süd, il 9 aprile 1940 l'esercito tedesco invase la Danimarca, senza alcuna resistenza. Fu un'occupazione unica rispetto ad altri Paesi europei, caratterizzata da una prima fase di relativa "collaborazione"; nel 1943, però, a causa della crescente frustrazione della popolazione e dell'inasprimento della guerra, si moltiplicò l'ostilità dei danesi contro gli occupanti tedeschi. A settembre Bohr fuggì in Svezia, convincendo il governo svedese ad accogliere centinaia di ebrei danesi in fuga dalla deportazione. Passando da Londra, si imbarcò poi insieme alla sua famiglia per gli Stati Uniti, dove il governo lo fece risiedere prima a New York e poi a Los Alamos, per collaborare al Progetto Manhattan. Bohr era una fonte particolarmente preziosa perché, venendo da un territorio occupato, era l'unico a sapere stato di avanzamento dei progetti nucleari tedeschi, diretti peraltro fino a poco tempo prima da un suo ex allievo. Dopo la guerra tornò a Copenaghen e fu tra i più accesi sostenitori dell'uso pacifico dell'energia nucleare. Nel 1957, poi, su iniziativa sua e del politico svedese Torsten Gustafsson, nacque l'Istituto nordico per la fisica teorica (Nordita), con sede a Copenaghen, dal 2006 a Stoccolma.
Niels Bohr morì per un attacco cardiaco nella sua casa di Copenaghen il 18 novembre 1962, all'età di 77 anni. È sepolto nel Cimitero di Assistens di Copenaghen, accanto agli altri due personaggi più illustri della storia della Danimarca: Hans Christian Andersen e Søren Kierkegaard.
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