La più grande battaglia navale dell'era moderna e un punto di svolta nel frenare l'espansione ottomana in Europa. Il 7 ottobre 1571 la flotta della Lega Santa (Spagna, Venezia, Stato Pontificio, Genova, Regno di Sardegna, Urbino, Malta e Granducato di Toscana) sconfissero l'Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto, l'antico nome della cittadina greca di Naupactos.
Nel Cinquecento le guerre tra Venezia e Impero Ottomano, che combattevano entrambe per il possesso del Mediterraneo orientale, si erano fatte sempre più frequenti. La Serenissima controllava dal 1489 Cipro e Creta, due isole molto popolose e in posizione strategica per il controllo delle rotte commerciali verso est. La sicurezza era garantita da un tributo annuale di 8mila ducati annui versati ai sultani mamelucchi d'Egitto. Nel 1517 l'Egitto era caduto in mano ottomana. I turchi avevano accettato di rinnovare l'accordo ma continuavano ad avere mire sulle due isole, che erano anche base di corsari che assaltavano le navi ottomane e i pellegrini musulmani diretti a La Mecca, sotto la protezione veneziana.
Dopo aver concluso una guerra di oltre sessant'anni con gli Asburgo nel 1568, l'Impero fu libero di concentrarsi su Cipro. Selim II, sultano ottomano salito al potere due anni prima, ne aveva fatto la sua priorità, prima ancora del sostegno alla rivolta dei moriscos in Spagna e degli attacchi ai possedimenti portoghesi nell'Oceano Indiano. Il principale istigatore del conflitto fu però Joao Micas, ebreo portoghese, amico intimo del sultano e da lui nominato Duca di Naxos dopo l'ascesa al trono. Micas aveva risentimenti personali contro i veneziani e chiese al sultano di essere nominato Re di Cipro dopo la conquista dell'isola.
Nel 1567 Selim II rinnovò il trattato con Venezia, ma all'interno della corte imperiale il partito della guerra, capeggiato dal gran visir Sokullu Mehmed Pasha, prevalse. Lo sheik ul-Islam, massima autorità giuridica dell'islam, diede parere favorevole alla guerra: il trattato poteva essere stracciato perchè Cipro era un'antica terra musulmana (lo era stata brevemente mille anni prima) e doveva essere riconquistata. Lala Mustafa Pasha venne nominato comandante delle truppe di terra e Muezzinzade Ali Pasha della flotta, assistito, data la sua inesperienza, dall'esperto Piyale Pasha.
Il riarmo navale ottomano allarmò i veneziani, che rinforzarono le fortificazioni ma si resero ben presto che, senza aiuti, Cipro sarebbe presto caduta data la sua posizione completamente isolata. Oltretutto, la Spagna asburgica era impegnata nella soppressione di rivolte nei Paesi Bassi e al suo stesso interno con i moriscos. La popolazione ortodossa di Cipro, inoltre, era ostile ai veneziani per l'elevata tassazione.
A marzo 1570 l'Impero Ottomano inviò un ultimatum a Venezia, chiedendo la cessione dell'isola immediata e senza condizioni. Venezia pensò di cedere Cipro in cambio di alcuni possedimenti in Dalmazia e alcuni privilegi commerciali, ma la Serenissima ritenne che le altre potenze sarebbero accorse in suo aiuto e rifiutò l'ultimatum, convinta di poter vincere la guerra.
Il 27 giugno 1570 la forza di invasione ottomana (350/400 navi e 60/100mila uomini) salpò per Cipro, sbarcando senza incontrare resistenza 5 giorni dopo alle Saline, nella parte meridionale dell'isola nei pressi di Larnaca. Consapevoli della superiorità turca e del fatto che una sconfitta immediata avrebbe comportato l'annientamento della forza difensiva dell'isola, i veneziani si erano ritirati nel forte di Nicosia in attesa di rinforzi. L'assedio iniziò il 22 luglio e durò 7 settimane.
Il 9 settembre, anche a causa della fine delle munizioni, gli ottomani aprirono un varco nelle mura e massacrarono 20mila uomini, compresi i maiali, ritenuti impuri. Solo donne e bambini vennero risparmiati per essere venduti come schiavi. Una flotta cristiana di 200 navi, assemblata all'ultimo a Creta da Venezia, Napoli, Genova, Spagna e Stato Pontificio era partita per il salvataggio di Cipro ma si ritirò quando ebbe notizia della caduta di Nicosia.
La fortezza di Kyrenia, a nord, si arrese senza combattere. Resisteva solo Famagosta, con i suoi 8500 uomini (contro 200mila) comandati da Marco Antonio Bragadin, che non si arrese nonostante sapeva bene che nessuno sarebbe arrivato a salvarli. Gli ottomani non erano in grado di circondare completamente la città dal lato del mare, permettendo il rifornimento. Selim II offrì ai veneziani il mantenimento di Famagosta in cambio della cessione di tutto il resto dell'isola ma Venezia, che aveva appena riconquistato Durazzo, in Albania, e stava con successo formando una rete di alleanze, rifiutò. Il 1° agosto 1571, dopo 11 mesi di assedio, Famagosta si arrese sotto il bombardamento turco. Lala Mustafa concesse agli abitanti di lasciare l'isola senza fare loro del male, ma quando seppe che i veneziani avevano ucciso alcuni prigionieri musulmani durante l'assedio si rimangiò l'accordo. Bragadin venne mutilato e scuoiato vivo e la sua pelle esposta nella città, mentre i suoi ufficiali furono giustiziati.
Intanto Venezia stava cercando alleati in Europa. Il Sacro Romano Impero era appena uscito da sei decenni di guerra con gli ottomani e rifiutò, così come la Francia (nemica della Spagna) e la Polonia. La Spagna, la più grande potenza navale del Mediterraneo, inizialmente non si dimostrò interessata, dal momento che Venezia non aveva offerto loro aiuto durante l'assedio di Malta del 1565, preferendo concentrare la sua attenzione sugli stati barbarici del Nordafrica. Fu l'energetica mediazione di Papa Pio V a far siglare, il 15 marzo 1571, la Lega Santa, con la promessa da parte dei veneziani di aiutare gli spagnoli in Nordafrica.
La flotta venne radunata a Messina sotto il comando del Principe Giovanni d'Austria, che divise gli incarichi in modo da non creare frizioni tra gli Stati membri, riluttanti a collaborare. Mantenne per sè il controllo del centro della flotta, affidando l'ala destra al genovese Giovanni Andrea Doria, la sinistra al veneziano Agostino Barbarigo e le retrovie allo spagnolo Alvaro de Bazan. La flotta lasciò Messina e si diresse verso Corfù, dove venne informata della caduta di Famagosta. La flotta ottomana, invece, sotto il comando di Muezzinzade Ali Pasha, era ancorata a Lepanto, nome con cui era conosciuta la cittadina greca di Naupaktos, all'entrata del Golfo di Corinto.
Lo scontro si preannunciava estremamente equilibrato (278 navi ottomane contro 212 cristiane) e avrebbe coinvolto il 70-90% di tutte le galee presenti nel Mediterraneo all'epoca. Il 7 ottobre 1571 le due flotte ingaggiarono battaglia al largo di Lepanto e la flotta ottomana venne distrutta. Gli ottomani persero 25-35mila uomini più 12mila schiavi cristiani al remo liberati.
Nella percezione popolare, Lepanto fu un punto di svolta nella lunga lotta tra Impero Ottomano e cristianità, dato che pose fine alla supremazia navale turca iniziata con la battaglia di Preveza del 1538. I risultati strategici immediati della vittoria furono minimi, dato che la rigidità dell'inverno impedì ai cattolici di lanciare un'ampia offensiva, permettendo così agli ottomani di ricostruire la flotta. L'Impero inoltre causò gravi perdite a Venezia in Dalmazia, dove saccheggiò l'isola di Hvar e bruciò le città di Hvar, Stari Grad e Vrboska.
Si dice che il Gran Visir ottomano disse all'ambasciatore veneziano: "I cristiani mi hanno tagliato la barba, ma io ho tagliato loro un braccio. La mia barba ricrescerà, il braccio no". Laddove la barba sarebbe la flotta e il braccio Cipro, ormai in mano turca. In realtà l'Impero soffrì la perdita di ufficiali esperti, quasi tutti morti a Lepanto o giustiziati. La battaglia, unita al fallimento turco nella conquista di Malta 6 anni prima, sancì di fatto la divisione del Mediterraneo in due: l'est ottomano e l'ovest asburgico più gli alleati italiani.
L'anno successivo il conflitto riprese. La flotta ottomana era stata ricostruita, 200 navi sotto il comando di Kilic Ali Pasha. Gli ottomani evitarono accuratamente un'altra battaglia navale e le nazioni cristiane, divise al loro interno, non riuscirono ad accordarsi per lanciare un'offensiva.
Nel 1573 la Lega Santa si sfaldò. Il principe Giovanni d'Austria attaccò Tunisi, di cui mantenne il possesso solo per pochi mesi. Venezia invece iniziò dei negoziati autonomi con l'Impero, temendo la perdita di altri possedimenti in Dalmazia e l'invasione del Friuli. Il trattato venne siglato il 7 marzo e confermò la sovranità ottomana su Cipro più il pagamento di 300mila ducati da parte di Venezia come indennità di guerra. L'Impero modificò anche i confini in Dalmazia, annettendo alcune aree fertili dell'entroterra.
La pace resistette per oltre sessant'anni, finché nel 1645 scoppiò la quinta guerra tra Venezia e Impero Ottomano, stavolta per il possesso di Creta. Cipro rimarrà invece sotto il controllo turco fino al 1878, quando venne ceduta al Regno Unito come protettorato. Il dominio ottomano finì concretamente fino alla Grande Guerra, quando l'Inghilterra annettè l'isola unilateralmente, rendendola una propria colonia nel 1925.
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